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MOZIONI

Iniziative per la sospensione dell'applicazione degli studi di settore

Iniziative per la sospensione dell'applicazione degli studi di settore
Studi di settore sotto i riflettori del Parlamento: due mozioni ne chiedono la sospensione e la disapplicazione. Hanno fatto il loro tempo?
Entrati in vigore nel 1998, nell'era del Governo Prodi, gli studi di settore da qualche tempo si direbbero caduti in disgrazia. Dopo le perplessità sulla loro efficacia, manifestate dall'Agenzia delle Entrate con la circolare dello scorso agosto, gli studi sono finiti nel mirino anche del Parlamento, dove sono in discussione due mozioni che vorrebbero disapplicarli dal 1 gennaio di quest'anno.

Si tratta delle mozioni Fedriga n. 1-00607 e Pesco n. 1-00709. Secondo l'On Sandra Savino che le ha illustrate alla Camera dei Deputati venerdì scorso, le stesse categorie professionali interessate evidenziarono fin dall'inizio come ogni ipotesi di forfettizzazione equivaleva alla reintroduzione della minimum tax.
Gli studi di settore, quindi, forniscono esclusivamente un'indicazione di massima di quanto il fisco si attende da ciascun contribuente, e costituiscono linee guida per l'azione di accertamento degli uffici. In sostanza i contribuenti dovrebbero dichiarare i proventi reali e non necessariamente quelli risultanti dallo studio, che sono solo indicativi.

Agli studi di settore - che dovrebbero garantire un elevato grado di attendibilità ovvero rappresentare il più possibile la realtà imprenditoriale del singolo contribuente- si rimprovera di non essere idonei allo scopo. La giurisprudenza di legittimità ha «bocciato» la valenza degli studi di settore: in più occasioni, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i dati comparativi forniti dagli studi altro non sono che parametri astratti e meramente statistici ovverosia il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei.

Conseguentemente, gli studi di settore sono stati ritenuti idonei a ricostruire la situazione reddituale del contribuente solo se confortati da altri elementi desunti, in contraddittorio con il contribuente, dalla realtà economica dell'impresa; l'astratta applicazione degli studi di settore, dunque, non garantisce l'attendibilità delle risultanze in termini di ricavi e compensi da dichiarare, potendo in alcuni casi generare significativi effetti distorsivi.

Sarebbe invece opportuno potenziare la compliance tra amministrazione finanziaria e contribuente, incentivando le forme e gli strumenti di contraddittorio che rappresentano oggi un elemento indefettibile del procedimento di accertamento. A tal fine, sarebbe senz'altro proficua l'attivazione di forme di contraddittorio, anticipate rispetto alla fase dichiarativa, e dirette ad assicurare il costante monitoraggio dell'attività imprenditoriale o professionale ed il suo andamento economico: in tal modo, ancor prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi annuale, l'amministrazione finanziaria e il contribuente avrebbero la possibilità di vagliare ed esprimersi sulla reale situazione economica dell'impresa o professione esercitata rispetto alle risultanze degli studi di settore, uniformando la successiva dichiarazione dei redditi all'effettiva situazione reddituale.

Secondo la mozione Pesco- nell'ottica del potenziamento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti- sarebbe auspicabile per il futuro l'abolizione degli studi di settore quale strumento di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, procedure di controllo più attinenti alle oggettive caratteristiche di esercizio dell'impresa o professione e, quindi, maggiormente idonee a rilevare la ricchezza effettivamente prodotta.