Ricorre in questo mese il ventesimo anniversario del primo caso di “mucca pazza” in Italia. Quel 17 gennaio 2001 non fu solo l’inizio di una problematica sanitaria.
Domenica 17 gennaio ricorrono venti anni dal primo caso italiano di encefalopatia spongiforme nei bovini. Fu una rivoluzione per il mondo zootecnico e per la veterinaria sia ufficiale che privata. Come sempre in questi casi, non è stato il singolo episodio a determinare una rivoluzione, ma la concomitanza con altri avvenimenti.
In questi vent’anni si sono succedute tante cose: l’esigenza di garanzie sugli alimenti in genere e su quelli di origine animale in particolare, la mutata sensibilità dell’opinione pubblica sulle condizioni di allevamento, la preoccupazione sull’uso (ed abuso) degli antibiotici, l’avvento di regole europee più stringenti.
Tutto questo ha profondamente cambiato il nostro modo di allevare ed anche le responsabilità professionali e sanitarie del Veterinario in questo contesto. La concorrenza sui prodotti di origine animale italiani, che sono senza ombra di dubbio marchi universalmente riconosciuti, ne ha approfittato per trovare nuovi argomenti per limitare il nostro export. Contemporaneamente ci si è accorti che il vecchio sistema dei controlli era obsoleto e che la sua modernizzazione era improcrastinabile. Si è così passati dal controllo dell’autorità sull’animale/prodotto, al controllo sul processo, dove l’operatore del sistema produttivo e il consulente libero professionista sono stati ulteriomente responsabilizzati.
Oggi, le leggi europee che impongono una programmazione dei controlli (e una categorizzazione delle aziende) sulla base del rischio sanitario, unite alle preoccupazioni per l'antibiotico-resistenza hanno portato allo sviluppo di nuove iniziative: il decreto sul Veterinario Aziendale e il sistema della ricetta elettronica veterinaria. Ovviamente, l’impatto di queste novità sul nostro mondo ha provocato una serie di reazioni contrastanti, come è logico aspettarsi di fronte a rivoluzioni come queste.
In aggiunta a tutto questo, si è fatta avanti - con una pressione fortissima - una sensibilità pubblica per le condizioni di allevamento dei nostri animali, che sfocia addirittura nella messa in discussione della legittimità dell’allevamento "intensivo". La Commissione europea ha avviato nel 2004 il Welfare Quality project, inizialmente con quaranta istituzioni europee alle quali dal 2006 se ne sono aggiunte quattro del mondo latino americano. In Italia si è creato, oltre ad un Centro di Referenza per la BSE, il Centro di Referenza Nazionale sul Benessere Animale, deputato a fornire supporto scientifico al Ministero della Salute anche in fatto di parametri di valutazione a livello di allevamento.
La produzione e la distribuzione di prodotti di origine animale ha capito subito l’importanza del benessere animale e l'ha cavalcato per conquistare posizioni di vantaggio competitivo, a partire dagli allevamenti facenti capo ai loro stessi circuiti commerciali. Da qui in poi, è nata una serie di iniziative, scoordinate e farraginose, che hanno mescolato ruoli, compiti e attività, generando non poca confusione e molte opacità.
La progettazione di un sistema intelligente di raccolta dati, quale è il Classyfarm, vuole anche mettere un freno a tutto questo, oltre a realizzare quella rete di epidemiosorveglianza di cui si è iniziato a parlare dallo scoppio della BSE in Italia. Dopo un parto ventennale, anche per concorrere alla classificazione degli allevamenti, è nato il Veterinario Aziendale che oggi ha un elenco ufficiale in capo alla FNOVI, sulla base di un decreto ministeriale che ha dettato i suoi requisiti di formazione, professionalità e assenza di conflitti di interesse.
A vent'anni da quel 17 gennaio 2001, il ruolo del Veterinario Aziendale ha ancora bisogno di essere sostenuto e difeso. Sul suo cammino è ancora costretto a guardarsi da inciampi, intralci e dissuasori che sembrerebbero messi a bella posta per continuare a fare in modo che questi venti anni siano trascorsi invano. Se così fosse, tanto varrebbe smetterla di parlare di epidemiosorveglianza. Oggi la mucca non è più pazza.
Giacomo TolasiPresidente Commissione Scientifica
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