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CONSIGLIO DI STATO

Università: migrazione strategica per saltare il test d'ingresso?

Università: migrazione strategica per saltare il test d'ingresso?
Lo studente universitario di un Paese UE non deve rifare il test in Italia. Il Consiglio di Stato si è prununciato sul trasferimento da una facoltà rumena a una italiana.
Il caso ha riguardato due studenti di medicina, il cui trasferimento era stato inizialmente rifiutato dall'Università di Messina, in quanto non avevano superato il test d'ingresso di Medicina e Chirurgia in Italia. Secondo i giudici "una limitazione, da parte degli Stati membri, all'accesso degli studenti provenienti da università straniere per gli anni di corso successivi al primo della Facoltà di medicina e chirurgia si pone in contrasto con il principio di libertà di circolazione".

I giudici richiamano la Corte di Giustizia Europea secondo la quale gli Stati membri sono liberi di optare per il numero programmato o per l'accesso libero.  Tuttavia, che essi optino per l'uno o per l'altro sistema,  le modalità del sistema scelto devono rispettare il diritto dell'Unione e, in particolare, il principio di libertà di circolazione e soggiorno in un altro Stato membro.

La sentenza è stata commentata in Italia come un viatico a un trucco non nuovo: scriversi in un ateneo dell'Unione Europea, frequentare per un periodo e poi chiedere il trasferimento alla facoltà italiana. Su skuola.net si parla di un collaudato escamotage per saltare il test d'ingresso. Ma la sentenza del Consiglio di Stato tratta diffusamente del timore che possa innescarsi "un processo di emigrazione verso università comunitarie aggirando la normativa sull’esame di ammissione". Negandone il fondamento.

Ritiene infatti  il Collegio che "una generalizzata prassi migratoria, in qualche modo elusiva del test, è da escludersi", in virtù dell'indefettibile limite dei posti disponibili per il trasferimento, limite che viene stabilito in via preventiva per ogni accademico e per ciascun anno di corso dalle singole Università. Quindi la sentenza conclude che il limite dei posti  "è un parametro di contrasto sufficientemente efficace rispetto al temuto movimento migratorio elusivo".

In buona sostanza, la vigente normativa nazionale ed europea esclude che una Facoltà possa permettere l'ammissione di uno studente comunitario condizionandola all'obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, "che non può essere assunto come parametro di riferimento per l'attuazione del "trasferimento". In corso di studi l'Università ha il potere/dovere di concreta valutazione del "periodo" di formazione svolto all'estero, nel rispetto del numero di posti disponibili per trasferimento, fissato dall'Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.

Il problema "elusione", si risolve "non con la creazione di percorsi ad ostacoli volti ad inibire la regolare fruizione di diritti riconosciuti dall'ordinamento, ma predisponendo ed attuando un rigido e serio controllo, affidato alla preventiva regolamentazione degli Atenei, sul percorso formativo compiuto dallo studente che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo; controllo che abbia riguardo, con specifico riferimento alle peculiarità del corso di laurea di cui di volta in volta si tratta, agli esami sostenuti, agli studii teorici compiuti, alle esperienze pratiche acquisite (ad es., per quanto riguarda il corso di laurea in medicina, attraverso attività cliniche), all'idoneità delle strutture e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto agli standards dell'università di nuova accoglienza".