In sintesi, se il Regno Unito lasciasse l'Unione Europea senza un accordo specifico sui movimenti non commerciali di cani, gatti e furetti, diventerebbe un Paese terzo, con conseguenti aggravi burocratici e di circolazione per i proprietari britannici. Dal 30 marzo 2019, primo giorno della Brexit, i proprietari in viaggio verso il territorio della UE, dovrebbero affrontare i preparativi con ben quattro mesi di anticipo. Non solo: i pet passport già emessi non avrebbero più valore. Per questo, domenica scorsa a Londra, hanno protestato contro la Brexit anche i proprietari.
Senza un accordo negoziale specifico, all'arrivo nell'Unione, gli animali da compagnia dovrebbero essere segnalati a un punto di ingresso dei viaggiatori designato (TPE). Al TPE, al proprietario dell'animale domestico verrebbe chiesto di presentare la prova del microchip, della vaccinazione e del risultato del test del sangue insieme al certificato sanitario del proprio animale.
Con un accordo, invece, il Regno Unito - benchè Paese Terzo, cioè non più appartenente alla UE - potrebbe mantenere le stesse regole degli Stati membri dell'UE o limitarsi a produrre condizioni sanitarie/documentali aggiuntive.
Sull'ipotesi di uno scenario "no deal" si è pronunciato anche il Royal Veterinary College, auspicando che non si verifichi. In generale, e non solo per quanto riguarda il pet passport, l'assenza di una uscita negoziale "potrebbe ridurre la forza lavoro veterinaria, o abbassare gli standard di salute e benessere degli animali di cui il Regno Unito è così giustamente orgoglioso ".