Due ricerche condotte dall'IZSVE hanno esplorato il rischio di contrarre la leptospirosi canina fra i Veterinari. Analizzato anche un focolaio in un canile.
I Medici Veterinari non rischiano di contrarre la leptospira canina più di chi non è professionalmente esposto a questo rischio. È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e finanziata dal Ministero della Salute. Non è stata infatti riscontrata la presenza di anticorpi contro leptospira in nessuno degli oltre 200 campioni di siero umani analizzati, suddivisi equamente tra campioni prelevati da Veterinari e da persone non esposte al contatto con i cani per motivi di lavoro.
Esposizione dei veterinari al rischio leptospirosi- Sono stati analizzati 221 campioni di siero umani tramite mediante test di microagglutinazione (MAT) per Leptospira: 112 provenienti da medici veterinari clinici specializzati in animali d’affezione, e 109 provenienti da persone non professionalmente esposte al contatto con questi animali. Tutti i soggetti provenivano dal Nord Italia, un’area geografica ad alta endemicità di leptospirosi canina.
Le analisi non hanno rilevato alcuna reattività ai test effettuati, indicando che nessuno dei soggetti aveva sviluppato anticorpi verso le leptospire circolanti nel territorio. Ciò indica che i veterinari, nonostante la maggiore esposizione al rischio per ragioni professionali, non si infettano in modo significativamente diverso rispetto alla popolazione di riferimento.
Ciò può essere dovuto alla maggiore consapevolezza dei rischi zoonotici da parte dei veterinari, e quindi all’adozione di efficaci misure di prevenzione nella gestione dei pazienti nell’esercizio della professione; ma anche alla scarsa escrezione di Leptospira nei cani sintomatici, sia per durata di escrezione che per quantità di batteri eliminati. Il cane, pertanto, sembra rappresentare più una sentinella ambientale per la presenza di Leptospira piuttosto che un veicolo di diffusione dell’infezione.
Tuttavia le strutture di ricovero per cani ad alta densità di soggetti, se non gestite con la dovuta attenzione verso questa infezione, potrebbero rappresentare delle nicchie per la diffusione di leptospirosi, e comportare un rischio maggiore per operatori, volontari, veterinari e famiglie adottanti. Un focolaio in un canile del Nord Italia- Una seconda ricerca, sempre condotta dall’IZSVe,ha infatti analizzato un focolaio di leptospirosi in un canile del Nord Italia, identificandone l’origine in un sierogruppo (Sejroe) descritto raramente nel cane e non incluso in alcun vaccino attualmente in commercio.
Entrambe le ricerche, condotte dalla struttura di Diagnostica in sanità animale (SCT3) dell’IZSVe, sono state pubblicate dalla rivista scientifica International Journal of Environmental Research and Public Health (IJERPH).