I dati diffusi dall'IZSVE dimostrano la continuità del fenomeno che si conferma "un problema rilevante di sanità pubblica veterinaria".
Nel quadriennio 2014-2017, nel Triveneto ci sono stati 1.300 casi di sospetto avvelenamento e 700 ritrovamenti di sospette esche avvelenate, con percentuali di conferma alle analisi tossicologiche rispettivamente del 46% e del 38%.
Le specie più colpite sono il cane e il gatto, seguiti da altre specie, come volpi o volatili con percentuali inferiori al 10%. Gli esperti ritengono tuttavia che i casi di avvelenamento di animali selvatici siano sottostimati, a causa delle oggettive difficoltà legate al ritrovamento delle carcasse nelle zone non urbanizzate.
Le sostanze più utilizzate per la preparazione di esche e bocconi avvelenati sono i rodenticidi anticoagulanti, che insieme a metaldeide e carbammati costituiscono circa l’80% delle sostanze rilevate nei campioni d’esca analizzati. Per contro, negli episodi di avvelenamento di animali il riscontro di rodenticidi anticoagulanti è decisamente inferiore. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che questi casi, se diagnosticati e trattati tempestivamente con vitamina K, possono risolversi con la guarigione dell’animale. Le sostanze maggiormente causa di avvelenamento sono state metaldeide, carbammati e glicole etilenico.
I dati, sintetizzati dall'IZSVE, sono il frutto di una analisi preliminare della sorveglianza e sono stati raccolti nell’ambito del progetto di ricerca “Avvelenamenti animali: diagnostica tossicologica untargeted ed epidemiologia spaziale per favorire misure di prevenzione e repressione degli atti dolosi”, finanziato dal Ministero della Salute e attualmente ancora in corso.
I dati preliminari sono comunque sufficienti a registrare la permanenza del fenomeno nell’area del Triveneto e la massima attenzione delle autorità sanitarie mediante il rafforzamento delle attività di monitoraggio e controllo e il potenziamento dell’informazione verso i cittadini.