La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro ( sentenza n. 10043, depositata il 26 maggio 2004 ) ha ribadito in modo chiaro e definitivo che un rapporto di lavoro che esprima tutte le caratteristiche del lavoro subordinato non possa essere considerato come contratto di prestazione libero professionale nonostante gli accordi presi fra le parti si riferiscano a questo tipo di rapporto. Due medici romani che erano stati licenziati si sono rivolti al tribunale e poi in Cassazione sostenendo che il rapporto di lavoro che avevano instaurato con la clinica, pur essendo negli accordi fra le parti di prestazione libero professionale, era in pratica a tutti gli effetti un lavoro subordinato. Erano sottoposti ai turni, inseriti nella organizzazione della struttura, obbligati a seguire precise direttive nello svolgimento della loro attività e dipendevano dalla volontà dell'amministrazione anche per le ferie. Per questo al momento del licenziamento ritenendo che il loro rapporto fosse a tutti gli effetti di lavoro subordinato hanno preteso dalla clinica le differernze retributive rispetto al contratto collettivo dei medici ed i danni per l'illegittimo licenziamento. La clinica si era difesa sostenendo che la volontà delle parti nella definizione del contratto era quella di istituire un rapporto di collaborazione libero professionale e che quindi i giudici avrebbbero dovuto attenersi a quanto voluto dai contraenti. La Suprema Corte nel respingere le motivazioni giuridiche della clinica ha ribadito che per individuare la natura di un rapporto lavorativo, " a nulla rileva il nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto in essere" mentre ciò che conta è invece il principio dell'effettività, ovvero" il concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro nel periodo della sua esecuzione". La Corte di Cassazzione ha quindi accolto in pieno le richieste dei due medici. ( Il Sole-24 Ore-Sanità, 29 giugno 2004 )