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LO STUDIO DI SETTORE PREVALE SUL CRITERIO DI CASSA

LO STUDIO DI SETTORE PREVALE SUL CRITERIO DI CASSA
Gli studi di settore e i coefficienti presuntivi vincono sul criterio di cassa. Infatti il professionista non può provare il suo reddito, a dispetto dell'accertamento presuntivo notificato dall'amministrazione finanziaria, sulla base di quanto ha affettivamente incassato nell'anno di imposta contestato. Insomma il fatto che il compenso possa essere pagato nell'anno successivo non è rilevante ai fini fiscali. Gli studi di settore e i coefficienti presuntivi vincono sul criterio di cassa. Infatti il professionista non può provare il suo reddito, a dispetto dell'accertamento presuntivo notificato dall'amministrazione finanziaria, sulla base di quanto ha affettivamente incassato nell'anno di imposta contestato. Insomma il fatto che il compenso possa essere pagato nell'anno successivo non è rilevante ai fini fiscali.

È quanto si evince dalla sentenza n. 16235 del 9 luglio 2010 con la quale la Cassazione ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate presentato contro un architetto che aveva opposto all'accertamento, fondato sui vecchi coefficienti presuntivi, il criterio di cassa nel senso che alcuni compensi erano stati da lui incassati l'anno successivo rispetto a quello contestato.


La commissione tributaria provinciale aveva accolto questa tesi. La ctr del Friuli Venezia Giulia aveva confermato, affermando che "non erano sufficienti a sostenere la pretesa fiscale le sole preusunzioni derivanti dai parametri sulle categorie dei valori desunti dalla dichiarazione ma che occorreva anche una motivazione che esprimesse collegamenti e riferimenti congrui fra valori e la capacità contributiva del contribuente in un conteso periodico dell'andamento delle annualità precedenti e susseguenti". Queste motivazioni sono state completamente ribaltate da Piazza Cavour.


Nel caso specifico, in particolare, erano stati applicati i coefficienti ma la stessa sezione tributaria ha chiamato in causa nelle motivazioni gli studi di settore, rafforzando ancora una volta l'orientamento delle Sezioni unite inaugurato il Natale scorso. In particolare in sentenza si legge che "la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest'ultimo ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente".

L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della piú ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

Allegati
pdf LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE.pdf