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LA SENTENZA

Cassazione: è diffamazione dare del 'vivisettore'

Cassazione: è diffamazione dare del 'vivisettore'
Condannata al risarcimento per diffamazione la promotrice di un sito Internet contro la sperimentazione sugli animali, che bollava come “vivisettori” i ricercatori.
La società  che utilizza animali per la ricerca non li "viviseziona".  La Corte di Cassazione (Sezione III civile - Sentenza 19 luglio 2016 n.14694) ha confermato la condanna al risarcimento danni per diffamazione, a carico della responsabile di un sito "per illecita diffusione di dati personali" di alcuni dipendenti di una società di ricerca, insultati come "vivisettori". La società in questione- e i suoi dipendenti- conduce "studi preclinici di sicurezza mediante sperimentazione tossicologica di farmaci in vitro", una attività comportante l'utilizzo di animali, "ma non la loro vivisezione, intesa quale dissezione anatomica di animali vivi"- si legge in sentenza.

Non è diritto di critica-  La promotrice del sito incriminato aveva connotato negativamente la sperimentazione animale in genere accomunando la ricerca alla vivisezione e sottolineando l’efferatezza e l’inutilità scientifica degli studi. Per peggiorare la situazione aveva messo sul web i dati dei dipendenti dell’istituto. Per la Cassazione si è fuori dal diritto di critica e ben valgono le tesi della Corte d'Appello.

"Vivisezione", "vivisettori" e "vivisezionisti"- Già la Corte di Appello osservava, infatti  che i termini "vivisezione", "vivisettori" e "vivisezionisti", usati nel sito incriminato,  hanno ormai assunto "un'accezione ampia", andando oltre la "dissezione anatomica di animali vivi", e vengono riferiti alla sperimentazione animale in genere. "Dopo aver dato per riconosciuto che a questa ampia accezione si debba fare riferimento nella valutazione del diritto di critica", la Corte ha tuttavia reputato che "i detti termini, usati nel sito internet connotassero negativamente dal punto di vista etico siffatta attività di sperimentazione". L'uso di questi termini "incideva sulla continenza del messaggio per la forte suggestione negativa che esercita sul fruitore- aumentata dall'accostamento a termini come tortura e morte per gli animali che alla vivisezione richiamano".Rilevante il contesto in cui venivano utilizzati i suddetti termini, per ricondurre la sperimentazione a "crudeltà e arretratezza" e "alla sua affermata inutilità scientifica". Non hanno avuto successo in giudizio i tentativi della persona condannata di svalutare la connotazione negativa dei termini contestati, intendendoli come alternativi al concetto di sperimentazione animale in vivo, evidenziando come quest'ultima fosse "oggetto di un giudizio morale e scientifico dato per controverso".

"Attacco organizzato"-La Corte d'Appello si è espressa per "l'inaccettabilità delle modalità espressive utilizzate", stante che l'attività dei ricercatori veniva "apoditticamente tacciata come inaccettabile, immorale e scientificamente inutile". i ricercatori diffamati venivano individuati come "il nemico da combattere con qualsiasi mezzo" e i fruitori del sito veninano invitati a "diventare la coscienza dei vivisettori. Per la Corte non ci si è limitati ad esporre un'opinione, ma è stato "organizzato e propagandato un attacco per vie dirette e indirette nei confronti della società e dei suoi dipendenti, utilizzando toni e contenuti gratuitamente offensivi, stimolando  contrapposizione e aggressività al fine di prevaricare la posizione antitetica con ogni mezzo".

I limiti del diritto di critica- La Corte ha riconosciuto sia l'interesse pubblico del sito, sia la verità dei fatti diffusi, ma ciò che "trascende il diritto di critica è l'aggressione del contradditore", risoltasi "nell'accusa di perpetrazione di veri e propri delitti o comunque condotte infamanti, in rapporto alla dimensione personale, sociale o professionale del destinatario". Non si vuole con questo sostenere che la critica debba essere obiettiva, anzi "la critica presuppone valutazioni e commenti tipicamente di parte", nè si vuole sostenere che la critica "non possa comportare valutazioni negative circa le qualità morali o le capacità professionali del destinatario".
E allora? "Restano punibili le espressioni gratuite cioè non necessarie all'esercizio del diritto, in quanto inutilmente volgari o umilianti o dileggianti o offensive". la critica "si deve esprimere nel rispetto del requisito della continenza e perciò in termini formalmente corretti e misurati, in modo tale da non trascendere in attacchi e aggressioni personali dierti a colpire sul piano individuale la figura morale del soggetto criticato".

La Cassazione condanna al risarcimento dei danni conseguiti alla lesione del diritto alla riservatezza e alla reputazione dei dipendenti della società di ricerca.