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CASSAZIONE

Pubblicità sanitaria: sanzione non valida se l'Ordine non la motiva

Pubblicità sanitaria: sanzione non valida se l'Ordine non la motiva
La pubblicità sanitaria di un professionista non è sanzionabile dal suo Ordine di appartenenza, senza chiare motivazioni.
Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione (sentenza 870/14), annullando il provvedimento di sospensione per tre mesi assunto nei confronti di un odontoiatra per aver diffuso a mezzo stampa, internet ed altri mezzi, "una informazione arbitraria e discrezionale, priva di dati oggettivi e controllabili, e per non aver escluso qualsiasi forma anche indiretta di pubblicità commerciale, personale o a favore di altri".

Ma concretamente in cosa consiste la violazione sanzionata? Per la Cassazione c'è stata una "omessa motivazione  su un punto decisivo della controversia". E nel caso di specie, nemmeno la Commissione Centrale Esercenti le Professionisti Sanitarie - che aveva confermato la decisione dell'Ordine-  "non dà conto di quali sarebbero in concreto gli aspetti di non trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario relativo all'attività odontoiatrica nè indica in un punto di fatto sotto quale profilo e che cosa consenta di qualificare servili e autocelebrativi le pubblicazioni e gli articoli apparsi sulla rivista".

La Cassazione ha tuttavia ribadito che "pur a seguito dell'abrogazione, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, resta fermo il potere-dovere degli Ordini professionali ( ai sensi dell'art 2, comma 1 lettera b) del DL 233/2006, convertito con modificazioni in legge 248/2006) di verificare, ai fini dell'applicazione delle sanzioni disciplinari, la trasparenza e la veridicità del messaggio pubblicitario".

Senonchè, nè l'Ordine nè la Commissione Centrale possono pronunciarsi "apoditticamente" senza spiegare il percorso logico delle loro decisioni. Per questo la Cassazione ha rinviato di nuovo tutto alla Cceps.

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