L’intervento del Sottosegretario all’Università Nando Dalla Chiesa, ieri in Commissione Cultura, è stato all’insegna della prudenza. Le proposte di legge per l’abolizione del numero programmato ai corsi di laurea, ha esordito, “pongono questioni piuttosto complicate”: se è vero che “negli ultimi anni vi è stato un eccesso per quel che riguarda il ricorso allo strumento dell'accesso programmato”, dall’altro “occorre fare attenzione ai vincoli posti dall'ordinamento comunitario”. Il rappresentante del Governo “non ritiene peraltro che vi sia un problema di costituzionalità discendente dalla previsione di test di accesso alle facoltà, in quanto la Costituzione non esclude che vi possano essere selezioni per quel che riguarda i singoli corsi universitari. L’analisi di Dalla Chiesa ha inoltre riportato la discussione parlamentare sul piano degli sbocchi occupazionali, riconoscendo la valenza del numero programmato in relazione alla effettiva sistemazione lavorativa: parlando di medicina ha infatti osservato che “è necessario mantenere il numero chiuso in quanto in tale settore si registrano evidenti difficoltà dal punto di vista della situazione lavorativa degli aspiranti medici”.Secondo il Sottosegretario, il problema va piuttosto affrontato con “una coerente e completa attività di orientamento svolto da parte del Ministero, attività che dovrebbe avere come obiettivo non solo quello di specificare che lo studio di determinate materie all'università deve essere compatibile con il percorso di studi seguito, ma anche quello di indicare in modo esatto gli sbocchi professionali di ogni singolo corso di laurea”. La principale critica al sistema dei test da parte di Dalla Chiesa “ è che spesso non costituiscono un mezzo attraverso il quale è possibile effettivamente verificare l'attitudine dello studente nei confronti di una determinata facoltà, in quanto gli stessi spesso contengono domande che rappresentano una specie di duplicazione dell'esame di maturità già svolto”.