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NAPOLI, IL FRULLONE “CURA” I RANDAGI

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Il fazzoletto di terra posto tra l’ingresso della metropolitana del Frullone e il capolinea dei minibus «Pollicino» è il punto di ritrovo abituale per i quattro zampe senza padrone che si aggirano tra Piscinola e Chiaiano. A due passi l’ex ospedale psichiatrico del Frullone dove sono dislocati gli uffici dell’Asl del dipartimento veterinario, che prima si trovavano a Fuorigrotta, al parco San Paolo. In una lettera firmata da circa venti persone si lamenta una scarsa cura da parte degli impiegati di questi uffici nei confronti dei cani, tant’è che devono essere accuditi e sfamati dalla pietà popolare.
Naufragato il progetto dell’ospedale degli animali, negli uffici del Frullone esiste un ambulatorio per soccorrere i randagi feriti o malati, aperto il martedì e il giovedì, che si alterna con un altro situato in via Martiri d’Otranto. Che funzione ha questa struttura? «L’ambulatorio del Frullone è stato aperto il mese scorso - racconta Livia Sabrina Tortora, veterinaria con una grande passione per i cani - qui si presta soccorso agli animali che hanno subito incidenti». Non si tratta di un pronto soccorso aperto a tutti: i «pazienti» devono essere esclusivamente randagi. «Riceviamo una chiamata da parte di una forza pubblica - prosegue Tortora - che appura la veridicità e la dinamica dell'incidente, e questo per tutelarci da chi vuole fare scherzi. Dopodiché si procede a tutte le cure del caso». E una volta che l'animale è guarito? «Non viene lasciato in strada, ma portato al canile».
Alla fermata del Frullone, dove fanno capolino i cani di quartiere, c'è gente che non nasconde la sua preoccupazione: «Io ho paura di venire qui con mia figlia piccola - dice Amalia Ferro - guardate quanti cani in libertà. E se danno un morso alla mia bambina? Ma è normale che siano lasciati in giro così?». I cani del Frullone sono abituati alla vicinanza con l'uomo e sono per lo più innocui; alle volte, però, si mettono a rincorrere le automobili e abbaiano contro i passanti. Punto di vista opposto quello di Pasquale Di Vaia, gestore di un negozio per animali: «Di questi cani ci prendiamo cura tutti noi. Sono in una forma fisica buona, non sono denutriti né malati. Certo qualcuno può avere paura dei cani, perché quando sono in branco diventano imprevedibili. Comunque questi sono tutti sterilizzati e dotati di microchip», Vale a dire? «Vale a dire che oltre al fatto di non poter fare cuccioli sono tutti schedati».
L’uso del microchip ha sostituito da qualche tempo la cruenta tecnica del marchio a fuoco, una sorta di carta d'identità per animali. «Queste povere bestie si chiamano cani di quartiere - afferma Antonio Grieco - però ad accudirli sono solo dei privati. Facciamo a turno: ogni giorno qualcuno di noi li sfama e li pulisce. Forse questa dovrebbe essere competenza dell'Asl, ma per farlo ci vuole amore. E allora è meglio che lo facciamo noi». ( Danilo Cirillo, Il Mattino 17/01/2006)