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PET FOOD E SICUREZZA ALIMENTARE

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Quasi due milioni di euro l'anno, è la cifra spesa in Italia dai proprietari di cani e gatti. Ragguardevole e in aumento, visto che il mercato del pet-food da noi è in forte espansione, ma ancora inferiore rispetto a molti Paesi europei nei quali la penetrazione del cibo pronto per i quattro zampe supera il 90 per cento e degli States dove il mercato è saturo e si spendono oltre 11 milioni di dollari l'anno. Nonostante i cibi industriali rispondano sempre più alle esigenze del proprietario e dell'animale, i dubbi sul contenuto delle scatolette non sfumano. Qualcuno parla di additivi, di conservanti e coloranti, addirittura di scarti e sottoprodotti. Altri attribuiscono a questi componenti e all'eccesso di grassi la comparsa di intolleranze alimentari, di disturbi intestinali, allergie e obesità. "La vita media di cani e gatti è triplicata negli ultimi anni, merito anche di un'alimentazione sana e di buona qualità", dice il professor Vittorio Dell'Orto dell'Università di Milano, "perché un'azienda con un fatturato di milioni di dollari dovrebbe mettere in una scatoletta quello che non deve e che può nuocere all'animale inducendo il consumatore a cambiare prodotto?". La legislazione che tutela la produzione degli alimenti per gli animali da compagnia è quasi più restrittiva di quella per gli "umani". Oltre alla normativa internazionale e agli organismi europeo (Fediaf) e statunitense (Aafco), in Italia la circolare 160/96 detta la distinzione tra mangime "secco", "semiumido" e "umido"; impone regole rispetto al trattamento e alle proprietà alimentari; inoltre definisce gli ingredienti, qualifica il mangime e determina i parametri di giudizio dei nutrizionali che lo compongono. La 284/2000 e la 281/63 riguardano la sicurezza d'origine e il rispetto dell'etichetta che deve descrivere il mangime. "L'impiego di alcuni additivi autorizzati dalle normative Cee serve ad impedire l'irrancidimento del cibo, molti coloranti e conservanti entro il 2006 saranno definitivamente vietati", spiega Valentino Bontempo, nutrizionista all'Università di Milano che riferendosi al termine "scarto" sottolinea come fino a non molto tempo fa code, lingue, zampe e interiora facessero parte della dieta dei nostri nonni, mentre in natura cani e gatti mangiano la preda intera. Un marchio di qualità, tuttavia, non è tutto. E' opportuno variare il cibo, ogni tanto cambiare prodotto e, se si ha tempo, su consiglio del veterinario, sostituire al cibo preconfezionato un po' di carne o pesce cotti al vapore, un tuorlo d'uovo, qualche grammo di formaggio non stagionato, una carota. E tanto moto. ( Repubblica Salute, in edicola oggi)