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LA SENTENZA

Cassazione: cavallo d'affezione fuori dal redditometro

Cassazione: cavallo d'affezione fuori dal redditometro
I cavalli da passeggiata non devono stare nel redditometro. E’ la Cassazione a dire l’ultima parola su una battaglia vinta in prima persona da Daniele Giaccone un proprietario che non si è mai rassegnato. Una giusta causa che ANMVI e SIVE hanno sempre sostenuto in barba agli scettici e ai distratti.
Non potrà non avere conseguenze sulle norme tributarie (e non solo su quelle) la considerazione fiscale e giuridica che la Cassazione ha riservato al cavallo “da passeggiata”. Con la sentenza depositata il 21 ottobre 2015, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte ha dato ragione a Daniele Giaccone, proprietario di due cavalle da compagnia, scambiate per lussuosi e lucrosi equidi da equitazione e per le quali rischiava una multa di quasi 28mila euro. I suoi redditi non sarebbero stati credibili, secondo l'Agenzia delle Entrate, "rispetto alla consistenza degli esborsi sostenuti per il mantenimento dei due cavalli".

La Corte ha dichiarato "infondato" il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, risultando "accertato che i cavalli in oggetto non rientravano nelle categorie proveiste quali indici di capacità contributiva, essendo fattrici adibite a passeggiate". A fronte di ciò, non resta molto spazio per libere e arbitrarie interpretazioni: in sentenza si legge infatti che l'attività da diporto, come la passeggiata a cavallo, " non può farsi rientrare, neppure in via ermeneutica, nell’equitazione (sia da “concorso” che da “maneggio” come specificato dalla prassi) la quale presuppone l’arte e la tecnica del cavalcare e, nella sua accezione sportiva, l’attività dell’andare a cavallo nelle sue diverse specialità (praticabili, per l’appunto, in un maneggio, luogo dove si addestrano cavalli e cavalieri)".

Ad ulteriore sostegno del ricorso di Giaccone, per la Cassazione "è pacifico che secondo la normativa di riferimento, costituisce indice di particolare capacità contributiva non il generico possesso di cavalli ma solo di quelli da equitazione o da corsa; nella prima categoria dovendosi intendere ricompresi sia i cavalli da concorso ippico che quelli da maneggio". Per ulteriore chiarezza, la Corte scrive: "La ratio delle norme è quindi evidente nell'attribuire solo ai cavalli a tali specifiche attività adibiti, per la particolare cura e addestramento che gli stessi richiedono, la particoalre capacità contributiva".

Già la Commissione Tributaria del Piemonte nel ritenere i cavalli d'affezione non produttivi di reddito toglieva ad essi il valore di indicatore sintetico di reddito e di capacità contributiva. Al sostentamento delle cavalle da passaggiata, il proprietario aveva già dimostrato di provvedere "con i frutti del terreno di sua proprietà". Ora anche la Cassazione respinge al mittente le pretese dell'Agenzia delle Entrate.

In sostanza, i cavalli d'affezione non rientrano nel redditometro. La norma di riferimento, risalente al 1992, vi inserisce solo i "cavalli da corsa" oppure i "cavalli da equitazione". Nessuna multa quindi per il giovane proprietario piemontese che con la sua perseveranza strappa alla giurisprudenza un punto fermo per migliaia di altri possessori di cavalli da diporto. Le Commissioni tributarie locali avevano infatti preso indirizzi difformi avendo in qualche caso abbracciato la tesi del cavallo come indicatore di ricchezza di per sè.

Il caso uscì alla ribalta nel 2011. ANMVI e SIVE lo denunciarono a mezzo stampa e TV, sostenendo la causa esemplare di Giaccone e ottenendo l'intervento delle autorità regionali piemontesi.
Nel marzo del 2014 l'Agenzia delle Entrate pubblicò una circolare nella quale escludeva che il possesso di animali da compagnia rientrasse nei criteri di selezione per le verifiche fiscali.

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Nella foto Daniele Giaccone con una delle sue cavalle