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INDAGINI BANCARIE SUI PROFESSIONISTI

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Stretta per le indagini bancarie nei confronti di professionisti e lavoratori autonomi. I commi 402 e 403 dell'articolo unico della legge 311/04 (Finanziaria 2005) rendono più incisivi i poteri di Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate sul fronte delle indagini bancarie. La normativa, inoltre, è stata riscritta in maniera tecnicamente più precisa rispetto al passato. Con ricadute immediate sui professionisti. Un prima puntualizzazione riguarda, infatti, la possibilità di utilizzare, anche nei riguardi dei professionisti, l'inversione dell'onere della prova prevista dall'articolo 32, comma 1, punto 2, del Dpr 600/73. In passato era stata la giurisprudenza a estendere questa possibilità ai titolari di reddito di lavoro autonomo (Cassazione, sezione I, sentenza 11094 del 6 ottobre 1999). Ora, la modifica introdotta dalla Finanziaria 2005 toglie ogni dubbio in quanto parla espressamente anche di «compensi». La modifica ha, tuttavia, un effetto peggiorativo della posizione dei titolari di reddito di lavoro autonomo in quanto anche per loro, in futuro, varrà la regola, alquanto perversa, che autorizza il Fisco a conteggiare nella cifra di reddito da considerare evaso anche i prelevamenti di conto corrente (naturalmente, sempre che tali movimenti risultano non registrati in contabilità). Se il Fisco scopre dall'estratto conto che nel corso dell'anno ci sono stati sia versamenti (per esempio di 80mila euro) sia prelevamenti (per esempio di 50mila euro) avrà gioco facile nell'emettere tout court un accertamento per 130mila euro di imponibile evaso. E contro questo accertamento, il contribuente avrà scarse o nulle possibilità di successo, anche ai fini di un semplice ridimensionamento della cifra, dato che la normativa lo obbliga a dare la prova contraria in maniera precisa e circostanziata. La spiegazione teorica di questa regola può rinvenirsi nel fatto che dietro ogni prelevamento ci potrebbe essere, in astratto, anche un ricavo occultato: attraverso un ragionamento complesso si può forse ipotizzare che il prelevamento "a nero" è servito ad acquistare merce in evasione e che poi questa merce "a nero" è stata a sua volta venduta in evasione, generando così un ricavo occultato al Fisco. Se, però, nei riguardi delle imprese questo meccanismo ha un minimo di giustificazione astratta, verso i professionisti manca qualunque spiegazione economica. Pertanto, l'operazione di sommare gli importi dei prelevamenti tra i "compensi" evasi assume il significato di una pura sanzione impropria. Un semplice assegno cambiato allo sportello, infatti, potrà in futuro essere intercettato dal Fisco ed essere trasformato in "ricavo" o "compenso" in evasione. L'ufficio delle Entrate, infatti, potrà conteggiare a tali fini non solo i prelevamenti risultanti dai conti, ma anche «gli importi riscossi» a qualunque titolo, anche allo sportello di una banca fuori piazza. ( fonte: Il Sole 24 Ore, 06/01/05)