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INFLUENZA POLLI, TOKIO CHIUDE ALL’ITALIA

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Da alcuni giorni il Governo nipponico ha bloccato le importazioni di carni di pollo - oltre che dalla Thailandia e numerosi Paesi dell'Estremo oriente - anche dall'Italia. Sorpresi e allarmati, gli imprenditori italiani già questa mattina chiederanno un incontro urgente con il ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, per protestare contro questo provvedimento a senso unico «inspiegabile, che non ha motivo di essere e che, purtroppo, rischia di penalizzare l'immagine dell'Italia e delle carni avicole made in Italy», dicono. Per il direttore generale dell'Una, Rita Pasquarelli, l'embargo imposto dal Giappone «si regge sul niente. Intanto perchè in Italia vige un controllo sanitario ferreo su tutta la filiera, cosa che altrove non accade; e poi sotto il profilo commerciale non ha senso, giacchè le nostre imprese non esportano in quell'area. Ma esportiamo altrove - aggiunge Rita Pasquarelli - e questo ci può danneggiare. Per questo ritengo che quello dell'influenza aviaria sia più che altro un pretesto per introdurre misure protezionistiche». La notizia dell'Italia finita nella lista nera dei funzionari giapponesi è stata lanciata in mattinata dall'agenzia Dowjones di Tokio ma, ancora a tarda sera, nessuno in Italia ne era al corrente. La conferma comunque è arrivata; ed è stata spiegata con il fatto che «un provvedimento limitativo nei confronti dell'Italia era già stato adottato il 23 ottobre del 2003, in seguito a un focolaio influenzale individuato con la sigla H7N3 che interessò alcuni allevamenti di tacchini della Lombardia e del Veneto. Ora quel provvedimento è stato semplicemente prolungato». Una decisione che certo non giova all'immagine italiana e che non tiene conto del pericoloso accostamento che si fa della sigla H7N3 con quella del virus micidiale H5N1 che sta allarmando in questi giorni i Paesi orientali. Ricordato l'episodio, per gli imprenditori italiani è stato più facile circoscrivere il caso. «In effetti quel focolaio ci fu, solo che - puntualizza Pasquarelli - si trattò di una forma di virus assai lieve. Le autorità sanitarie appurarono peraltro che il grado patogeno di quell'influenza era talmente basso al punto che la malattia non poteva nemmeno diffondersi all'interno degli stessi allevamenti. «Nonostante ciò, per evitare che ci potessero essere complicazioni, le autorità italiane decisero di fare abbattere tre milioni di capi di tacchini. Ma quell'influenza non ha nulla a che fare con quanto sta accadendo oggi in Asia». Paesi dove «l'Italia - osserva Aldo Muraro, direttore generale di Pollo Aia, numero uno nel settore delle carni avicole con un miliardo di euro di fatturato - non solo non esporta abitualmente ma da cui nemmeno importa. Tutta la nostra produzione segue programmi rigorosi e di assoluta igienicità e salubrità, con una totale consapevolezza e conoscenza del processo produttivo, sia in fase di allevamento che di macellazione e commercializzazione». Altrettanto decisa è la risposta di Dante Di Dario, presidente di Arena Holding (800 milioni di euro il fatturato) che rimanda ai mittenti la «provocazione» del blocco delle importazioni dall'Italia. «Il nostro Paese - dice l'imprenditore molisano - è uno dei pochi in cui è addirittura vietato l'uso di antibiotici che, servono sì, per prevenire le epidemie negli allevamenti, ma sono anche fattore di crescita accelerata dell'animale. E per quanto riguarda il nostro gruppo, voglio ricordare che abbiamo una filiera integrata e gestita da noi, con una produzione completamente Ogm free». ( Il Sole 24 Ore, 27/01/2004)