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TAR SU LIBERA ATTIVITA’ DEI DIPENDENTI

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Dal 1997 ad oggi, il Tribunale Amministrativo del Lazio ha mantenuto inalterata la propria posizione, sostenendo l’ipotesi di incostituzionalità di un atto amministrativo teso a limitare la possibilità d’esercizio di attività libero professionale dei veterinari dipendenti del SSN. L’ultima conferma è l’ordinanza del 3 aprile scorso con cui il TAR ha dichiarato “ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge Regione Piemonte 3 gennaio 1997 n. 4” rimandando, per l’ultima parola sul caso, alla Corte Costituzionale. Nel 1997 quattro medici veterinari piemontesi ricorrevano contro la propria ASL, che applicando la citata legge regionale, invitava i medici veterinari dipendenti a segnalare se intendessero esercitare attività libero professionale e in caso positivo quali fossero i " programmi ed i tempi di massima del loro impegno al fine di accertare e valutare le condizioni di incompatibilità”. Il ricorso si estendeva alla Regione Piemonte stessa e sollevava una questione di legittimità costituzionale della legge n. 4/97. Secondo i ricorrenti, “la normativa regionale, nel disciplinare l’attività libero professionale, ha posto il divieto di svolgimento di tale attività nell’ambito territoriale dell’azienda sanitaria di appartenenza”, un divieto arbitrario e anticostituzionale. Per la Costituzione infatti, la Regione non può porre limiti di carattere territoriale al diritto dei cittadini di esercitare la loro attività professionale o di impiego. Non solo: “il sistema di divieti, controlli e condizioni predisposto dalla legge reg. n. 4/1997 esclude in concreto l’effettiva possibilità di esercizio della libera professione da parte dei medici veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale” violando quindi il diritto costituzionale al lavoro: “(..) posto che i servizi assicurati dai veterinari delle aziende sanitarie sono diretti alla cura e alla profilassi delle malattie relative agli animali da reddito, sicchè alcun pregiudizio può ipotizzarsi per il servizio sanitario nazionale dallo svolgimento di un’attività professionale che riguardi gli animali d’affezione . Peraltro anche gli artt. 3 e 4 della normativa regionale, disciplinando la libera professione per gli animali da reddito e per il cavallo sportivo hanno l’effetto di sacrificare ingiustificatamente il diritto costituzionale all’esercizio dell’attività libero professionale, ove si consideri che la stessa è consentita solo se si verifica una “permanente o temporanea carenza di veterinari libero-professionisti”( art 3, comma 1) e quindi è subordinata a circostanze che non attengono all’esigenza di evitare gravi pregiudizi al servizio sanitario pubblico, quanto piuttosto a situazioni che appaiono finalizzate soprattutto alla tutela degli interessi dei veterinari libero-professionisti"” Per i ricorrenti la normativa regionale violerebbe anche il principio di uguaglianza : ”l’introduzione di limitazioni sostanziali all’esercizio dell’attività professionale dei veterinari dipendenti dal servizio sanitario nazionale nell’ambito della Regione Piemonte ha determinato una evidente disparità di trattamento tra medici pubblici e medici veterinari pubblici, nonché tra veterinari pubblici e veterinari liberi professionisti”. La ASL interessata non si è costituita in giudizio. La Regione Piemonte ha respinto le contestazioni indicando la legge come un “atto recante un mero invito a comunicare dati e quindi inidoneo a ledere un interesse concreto e attuale”. La Corte Costituzionale, alla quale il TAR ha già più volte sottoposto la valutazione del ricorso “ha restituito ancora una volta gli atti al tribunale, invitandolo a tener conto del nuovo testo degli artt.117 e 120 della Costituzione” modificati dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, perché la questione oltre ad essere riconducibile alla materia della tutela della salute e delle professioni rientra nella “legislazione concorrente” fra Stato e Regioni. Ad aprile la questione non era ancora sanata; il TAR, continuando a ravvisare gli estremi per ritenere incostituzionale la legge della Regione Piemonte, ha chiesto alla Corte Costituzionale un nuovo giudizio.