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TARIFFE, IN TRIBUNALE NON VALE LA LEGGE BERSANI

Cassazione e Consiglio di Stato limitano la portata applicativa della legge  Bersani. Palazzo Spada e Piazza Cavour motivano allo stesso modo i colpi assestati all'impianto legislativo introdotto dal decreto Bersani. Il giudice deve attenersi ai minimi tariffari.

Con due provvedimenti depositati a pochi giorni di distanza (ordinanza della Cassazione 7293 e sentenza del Consiglio di Stato 2103) i giudici di Piazza Cavour e quelli di Palazzo Spada hanno stabilito che nel liquidare le spese di giudizio il magistrato non deve scendere sotto i minimi tariffari. Due motivazioni quasi sovrapponibili quelle rese da due organi giurisdizionali diversi.

In entrambe si legge infatti che "in materia di liquidazione delle spese di causa in favore del soccombente, il giudice dell'impugnazione, in presenza di contestazione dei criteri di liquidazione di onorari e di diritti - nel caso di specie censurati sotto il profilo della violazione dei minimi tariffari - è tenuto a rideterminare, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, l'ammontare del compenso dovuto al professionista, specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia".

In tal modo consentendo "l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in relazione all'inderogabilità dei minimi e dei massimi tariffari".

La liberalizzazione delle tariffe, statuita dall'articolo 2, comma 1 lett. a), Dl 233/2006, riguarda il solo rapporto contrattuale interno intercorrente tra il difensore e la parte, e non già la liquidazione delle spese in sede giudiziale, in quanto secondo la previsione testuale del comma 2 del citato art. 2 il giudice è tenuto a provvedere alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale". (fonte: cassazione.net)