L’Istat ha reso disponibili a luglio i dati sul patrimonio zootecnico nazionale bovino e suino a cadenza semestrale (1° giugno e 1° dicembre), secondo quanto disposto dalle direttive Cee. Il ridimensionamento del patrimonio bovino nazionale è strutturale. Rispetto al 2005, l’Istat ha registrato un calo del 2,3% a dicembre del 2006. Gli analisti stimano che la tendenza sarà la stessa per almeno un decennio, in conseguenza della riforma della PAC e della progressiva riduzione del numero delle vacche da latte negli allevamenti italiani. In controtendenza solo i vitelli e i vitelloni femmina. La fotografia dell’Istat si armonizza con quella scattata a livello comunitario, dove si tende a limitare l’allevamento intensivo e dove pesa il rincaro dei mangimi. Si importa e si importerà di più, secondo le previsioni ben oltre la soglia delle 700mila tonnellate, a fronte di un consumo interno comunque destinato a ridursi.
Migliore la performance del comparto suino, in crescita in tutta Europa malgrado la sempre temibile concorrenza delle carni avicole. Eppure, pur con risultati produttivi e di consumo, l’Europa è destinata a diventare un importatore, anche per effetto dei nuovi accordi fra Bruxelles, Brasile e Tailandia.
Le tavole riportano la consistenza in azienda per specie di bestiame secondo categorie diversificate: per i bovini vengono considerati l'età, il sesso e la destinazione produttiva; per i suini il peso, il sesso e la destinazione produttiva; per i bufalini il numero di bufale e di altri bufalini (in cui sono compresi i vitelli bufalini).
Per gli ovini le categorie rilevate sono: pecore da latte, altre pecore e altri ovini. Le categorie considerate per i caprini sono: capre che hanno già figliato, capre montate per la prima volta e altri caprini. L'indagine è condotta su un campione casuale di 8.770 aziende zootecniche selezionate dall'archivio delle aziende agricole del Censimento dell'agricoltura - Anno 2000 aggiornato in base all'indagine "Struttura e produzione delle aziende agricole - Anno 2003".