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SARDEGNA, UNA TASSA CONTRO IL RANDAGISMO

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"Si lavora ad una proposta condivisa che tuteli gli animali. Con una lettura superficiale e affrettata, di quella che peraltro è soltanto una bozza di riforma della normativa sul randagismo, è stata data una informazione non corretta su quanto l’assessorato alla Sanità intende fare per affrontare un problema che presenta forti criticità". L’Assessore alla Sanità della Sardegna, Nerina Dirindin , replica alle polemiche sorte sulla ventilata tassa da 20 euro per ogni cane di proprietà per ridurre i costi del randagismo e finanziare le sterilizzazioni e le adozioni. Le polemiche sono state rinfocolate dalla Presidente dei Circoli della Libertà Michela Brambilla che a Ballarò ha protestato “ ogni volta che vengo in Sardegna vedo troppi randagi”. L’Assessore Dirindin studia un disegno di legge regionale. La bozza, a quanto si apprende dalle comunicazioni ufficiali della regione, è stata illustrata ad Enti locali e animalisti il 6 giugno scorso, in vista della predisposizione di un provvedimento sul problema del randagismo e della tutela degli animali da affezione. Si è discusso di prevenzione, di vigilanza, di competenze dei comuni, di anagrafe canina e di quanto si sta facendo per migliorarne il funzionamento, affido e adozione dei cani. Un'occasione, quindi, per fare il punto sull'attività svolta. Di fronte ad un tema così delicato il metodo scelto è stato quello di aprire la discussione senza posizioni precostituite, disposti al confronto e al dialogo. Un metodo di lavoro apprezzato da tutti i presenti. Nessuna decisione politica riguardo all'introduzione di una nuova tassa, ipotesi che per altro si sta discutendo a livello nazionale: la bozza tecnica contiene, tra le altre, anche questa ipotesi, come contributo alla valutazione di un ventaglio di proposte". L’attuale legge regionale ( in vigore dal 1994 e che recepisce la normativa nazionale del 1991), ha mostrato nella sua applicazione alcuni limiti che non hanno consentito di ricondurre il fenomeno a livelli tollerabili. La bozza prevede una serie di modifiche alla attuale normativa che dovrebbero determinare un’inversione di tendenza nell’andamento del fenomeno, favorendone la regressione se non il superamento. Con essa si vogliono introdurre inoltre le misure atte a garantire le condizioni minime di benessere per gli animali d’affezione sia pubblici che privati. È necessario investire e lavorare nella prevenzione potenziando i sistemi di anagrafe e verificandone il rispetto, responsabilizzando quindi i proprietari di animali anche attraverso l’individuazione di sistemi di partecipazione economica alla gestione del problema. La vera soluzione del problema è di tipo integrato, con l’adozione di una serie di misure volte a favorire lo svuotamento dei canili incentivando le adozioni e quindi sgravando i comuni e la regione dei costi di mantenimento, che consentirebbe a queste amministrazioni di poter investire in attività di prevenzione e vigilanza. In passato i cani randagi catturati venivano abbattuti dopo un certo lasso di tempo, se non in riscattati dal legittimo proprietario. Il divieto di abbattimento, introdotto con la legge quadro nazionale e recepito dalla legge regionale, ha determinato l’intasamento delle strutture di ricovero e un’insostenibile impennata della spesa per il loro mantenimento, in assenza di azioni volte a contenere il numero di cani randagi. La spesa che la pubblica amministrazione sostiene per la gestione del fenomeno ha raggiunto livelli insostenibili. Si spendono infatti circa 700-800 euro all’anno per ogni cane ricoverato nei canili rifugio sia pubblici che privati in convenzione, dove spesso gli animali ricoverati vivono in condizioni di forte disagio a causa dell’inadeguatezza delle strutture e del sovraffollamento. Sono circa 5.500 i cani che vivono nei canili a spese della Regione e dei comuni, e si stima in oltre 20 mila il numero dei cani randagi liberi. La soluzione dell’assessorato non è, e non potrà essere assolutamente, l’abbattimento degli animali catturati, né è pensabile risolvere il problema con la costruzione di nuove strutture di ricovero, che verrebbero rapidamente riempite senza che contemporaneamente diminuiscano i cani in libertà. L’unica ipotesi di abbattimento per un cane randagio catturato, prevista peraltro anche dall’attuale normativa, è ammessa esclusivamente nel caso in cui si tratti di un animale gravemente malato o affetto da patologie progressivamente debilitanti o incurabili, o se di comprovata pericolosità. Alla soppressione possono provvedere esclusivamente i medici veterinari. L’abbattimento sistematico dei cani catturati non è mai una soluzione percorribile, oltre al fatto che si è dimostrata in passato inefficace, si deve considerare che è cresciuta la sensibilità della popolazione, che non lo consentirebbe, e sarebbe in ogni caso un atto di inciviltà, costoso e frustrante.