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ANCHE I FARMACI INVECCHIANO?

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Roldano Fossati, ricercatore del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri spiega a Repubblica Salute in edicola oggi i risultati di una ricerca basata su 29 studi retrospettivi condotti dal ’75 al ’99 sull’efficacia della doxorubicina, un chemioterapico usato per il tumore alla mammella, la cui efficacia sembrava ridursi negli anni. “Chi doveva analizzare i risultati della terapia era al corrente della molecola che stava valutando – spiega Fossati - Solo uno studio era a doppio cieco, cioè solo un caso su 29 né il medico né le pazienti sapevano che sostanza stavano testando. In tutti gli altri, i medici che dovevano misurare le masse tumorali dopo l’intervento chemioterapico sapevano che le donne coinvolte nell’indagine erano state trattate con doxorubicina. Questo significa che è possibile che la volontà e la speranza portino un medico a interpretare meglio l’efficacia di una terapia nuova. Lo stimolino per così dire a vedere quello che non si vede. Gli anglosassoni definiscono questo fenomeno “wish bias”, letteralmente: distorsione o pregiudizio dovuto alla volontà appunto. E questo può succedere non solo per i chemioterpaici, ma anche per altre categorie farmaceutiche”. E conclude: “La molecola nuova è un po’ più comoda, un po’ meno tossica di una più vecchia. Non ci sono mai differenze enormi tra un farmaco appena uscito e uno che ha qualche anno. Per questo occorre essere bravi valutatori.
L’analisi delle ricerche dell’Istituto Mario Negri sono state pubblicate sugli Annals of Oncolology.