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PROFESSIONISTI

Veterinari italiani: resiste l’archetipo del singolo

Veterinari italiani: resiste l’archetipo del singolo
In Italia operano oltre 11mila imprese nel settore delle attività veterinarie. Più che in altri Paesi europei; una sproporzione che però non aumenta il fatturato e l'occupazione. Cause e rimedi nel primo volume de "I quaderni di Confprofessioni", a cura di Michele Tiraboschi. L'organizzazione del lavoro come "fattore critico" di crescita.
Professionisti a confronto in quattro Paesi: Italia, Francia, Germania e Regno Unito. Il primo volume della collana "I quaderni di Confprofessioni" raccoglie i risultati di una ricerca comparata sulle tendenze evolutive nel settore delle libere professioni, curata dal professor Michele Tiraboschi e realizzata dal gruppo di ricerca di Adapt. Il volume si intitola "Il lavoro negli studi professionali. Quadro normativo, modelli organizzativi, tipologie contrattuali in Italia, Francia, Germania e Regno Unito".

Nell'area sanitaria le professioni che soffrono elevati tassi di disoccupazione sono gli psicologi (30%) e i veterinari (21,2%). Da qui l'esigenza di analizzare il quadro macro-economico, i modelli organizzativi
e le tipologie contrattuali che fino a oggi hanno regolamentato l'attività e la struttura degli studi professionali in Italia.

Nanismo e partite IVA individuali - La ricerca conferma una sproporzione del numero di imprese italiane operanti nel settore dei servizi professionali all'impresa, rispetto agli altri paesi europei. Osservando la struttura e la profittabilità delle imprese operanti nelle professioni regolamentate in Italia, le attività veterinarie confermano la numerosità rispetto agli altri paesi europei. In Italia operano (2009) oltre 11 mila imprese appartenenti al settore delle attività veterinarie, contro le 9 mila della Germania, le quasi 8 mila della Spagna, le 7 mila della Francia e le 3 mila inglesi.
Nonostante il maggior numero di imprese, l'Italia ottiene una quota minoritaria di fatturato dell'UE-27: pari al 3% contro il 22% del Regno Unito, il 19,5% della Francia, il 18% della Germania e il 5% della Spagna. Il motivo è sicuramente da ricercare in due fattori: il primo è il 'nanismo aziendale' che caratterizza la struttura economica italiana e nel proliferare di studi professionali di piccole dimensioni. Se la piccola dimensione delle imprese di servizi professionali accomuna la quasi totalità dei paesi, l'Italia è sicuramente quello che ha la quota maggiore di micro imprese (il 98,8%); il secondo sono le  'partite iva unipersonali' - la tendenza alla costituzione di associazioni di professionisti è più accentuata in Gran Bretagna o in Germania. Nel Regno Unito, vi è da tempo la tendenza ad aggregarsi tra professionisti in diverse forme di impresa. Questo è quanto avviene, anche, in Francia in cui sono previsti tre diversi contratti associativi e tre modelli societari. In Germania, all'impresa individuale, di gran lunga la più comune, si affiancano altre forme societarie: l'ufficio in comune; la condivisione di pratiche; la Società di diritto civile; la Società a responsabilità limitata; il partenariato. Fa da controtendenza l'Italia, dove prevale ancora l'archetipo del singolo professionista autonomo e dove la forma d'impresa è quella dell'associazione professionale e dello studio associato.

Tecnologie e organizzazione del lavoro - Funzionale è poi, in tutti i paesi, anche il rinnovamento delle modalità di espletamento delle attività. Con l'introduzione massiccia di nuove tecnologie, la qualità e l'efficienza della prestazione professionale non dipendono più solo dalla capacità del singolo professionista, ma anche dalla qualità del lavoro prestato da dipendenti e collaboratori.
Diversamente da Francia, Germania e Regno Unito, l'Italia è il paese in cui la disciplina collettiva dei rapporti di lavoro è unica e comune all'intero settore degli studi professionali. Le peculiarità di questo settore hanno reso indispensabile in Italia la predisposizione di una regolamentazione collettiva in grado di rispondere alle istanze dei professionisti e dei loro collaboratori Nel sistema francese esistono tanti contratti collettivi quante sono le categorie professionali. Nel Regno Unito è del tutto assente una regolamentazione collettiva nazionale. La funzione di regolamentazione dei rapporti di lavoro, anche nel settore delle professioni, è rimessa essenzialmente ad una contrattazione aziendale, dove esistente, e alla normativa statale e alla disciplina individuale delle singole parti. In Germania, invece, solo per alcune professioni esiste una regolamentazione a livello distrettuale, prevalendo, infatti, quella aziendale. . Il CCNL di settore è uno strumento in grado di fornire le regole di garanzia dei processi lavorativi, attraverso la promozione e la tutela delle migliori condizioni di lavoro.

Produttività oraria del lavoro e guadagno- In Italia il dato è stagnante almeno dal 2000, mentre nella media dei paesi europei cresceva, specialmente in Germania e Regno Unito. La maggiore produttività è riscontrabile nel settore delle attività legali, seguita a ruota dalle attività veterinarie. la produttività apparente media del settore delle attività legali era nel 2008 di 62 mila euro per occupato, rispetto ai 47 mila euro delle attività contabili, ai 44 mila euro delle attività dell'architettura, ai 57 mila euro di quelle ingegneristiche e i 35 mila di quelle veterinarie.
I professionisti italiani (la classificazione ISCO88 vi ricomprende avvocati, notai, commercialisti, ingegneri, architetti, farmacisti, medici, dentisti, veterinari e altri professionisti sanitari, giornalisti, registi) guadagnano in parità di potere d'acquisto (nel 2006) più degli austriaci, dei danesi, dei norvegesi, dei francesi, degli olandesi, degli spagnoli e degli svedesi. I professionisti italiani guadagnano comunque meno dei colleghi inglesi, belgi e tedeschi.

Con questa chiave di lettura, il lavoro diventa un fattore critico di successo per lo sviluppo degli studi professionali in un contesto economico fortemente connotato dalla competitività e dall'innovazione. Tuttavia, qualsiasi ipotesi di apertura del mercato non può prescindere da un aumento della qualità dei servizi professionali, che si sostanzia attraverso il potenziamento degli strumenti di lavoro e l'adeguamento tecnologico delle strutture organizzative interne agli studi professionali, come conferma l'analisi del gruppo di ricerca di Adapt.