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UN COMMENTO AL DATA ROOM

Non chiamateli allevamenti intensivi

Non chiamateli allevamenti intensivi
Sostituire la produzione di carne con cibo alternativo e ricollocare gli addetti in un altro modello occupazionale. E' fattibile? Dimezzato il consumo di carne rossa, che fine fanno poi i lavoratori di questo comparto? Domande che il Dataroom di Milena Gabanelli ha lasciato aperte. Ecco perchè, secondo il Presidente AIVEMP Bartolomeo Griglio.


L'ultimo Dataroom di Milena Gabanelli titola con una domanda che resta senza risposta: "Clima, consumo di carne da dimezzare: che fine fa una filiera con milioni di addetti?"
L'analisi parte dall'esigenza di un "cambio di paradigma" per salvare il Pianeta, nella consapevolezza che senza "una progettualità di transizione che garantisca l’occupazione" si rischia la "cancellazione o riduzione di interi settori". Dopo di che il Dataroom- tutto focalizzato sugli allevamenti cosiddetti intensivi- conclude che "non esiste un progetto operativo" per sostituire la produzione di carne con cibo alternativo e per ricollocare gli addetti in un altro modello occupazionale.

Il dato esatto sulle emissioni di gas serra- Il Dataroom riconosce che "l’agricoltura italiana, incluso il settore zootenico, è una delle più sostenibili in Europa per quel che riguarda le emissioni di gas serra", ma sbaglia il dato. Secondo uno studio ISPRA, recentemente portato in Parlamento dal Ministero della Salute, gli allevamenti sono responsabili del 3% delle emissioni globali di gas serra, molto meno di quanto rilevato dal Dataroom ( "gli allevamenti intensivi sono responsabili del 15% delle emissioni di gas serra"). I principali imputati, infatti, restano i consumi energetici (81% dei gas serra).

Non chiamateli "intensivi"- Il Presidente dell'AIVEMP (Associazione Italiana Veterinaria di Medicina Pubblica)  Bartolomeo Griglio consiglia di abbandonare l'uso dell'aggettivo "intensivi". E' fuorviante, dice, proponendo di sostituirlo con il più corretto "convenzionali".  "Per intendersi nei ragionamenti bisogna prima di tutto mettersi d'accordo sulla semantica- afferma- e in Italia è più corretto parlare di "allevamenti convenzionali", cioè di aziende zootecniche dove si allevano animali in aree delimitate e al coperto, garantite dalla biosicurezza".
Nell'immaginario di chi parla di allevamenti "intensivi" non ci sono gli allevamenti convenzionali italiani. I bovini a cui fa principalmente riferimento il Dataroom, non vivono all'ammasso, "ma in aziende agricole che garantiscono spazio e benessere". E non sono sovrannumerari, ma possono essere allevamenti "anche soltanto di venti capi".

Impatto ambientale degli allevamenti all'aperto- Rispetto agli allevamenti all'aperto "gli allevamenti convenzionali consumano meno risorse e sono più sicuri"- spiega Griglio. Pascoli e allevamenti all'aperto, infatti, "hanno un maggior impatto ambientale, perchè utilizzano più suolo e superfici più estese per un numero tendenzialmente maggiore di capi".
Va considerato il rapporto fra il numero di capi e la superficie destinata all'allevamento, con un esempio: "In Piemonte alleviamo 1milione di suini, mentre la Danimarca ne alleva 20milioni su una superfice poco più ampia. Quindi che cosa si intende quando si parla di intensivo?".

Rischi sanitari e allevamenti all'aperto- Malattie come l'influenza aviaria e la peste suina africana hanno reso evidente i maggiori rischi a cui sono esposti gli allevamenti rurali, a conduzione familiare o bradi, rispetto agli allevamenti convenzionali. "Questi ultimi, invece, proprio grazie alla loro delimitazione, alla copertura e al cordone di biosicurezza fanno in modo che le malattie non entrino e non escano. Inoltre, la promiscuità con l'uomo è ridotta all'essenziale, agli operatori e ai controllori, e questo preserva anche dal rischio di salto di specie che si osserva invece in Paesi ad elevata promiscuità, dove allevamenti e mercati sono appunto aperti".

Se l'influenza aviaria può essere ricollegabile agli uccelli migratori, la peste suina africana è stata favorita da allevamenti bradi che hanno esposto i suini domestici ai selvatici. "All'aperto, il rischio di propagazione dell'epidemia aumenta"- conferma Griglio aggiungendo che "all'aperto aumenta anche l'esposizione ai vettori, come insegna la malattia della lingua blu. Al contrario gli allevamenti convenzionali riducono gli agenti infestanti".

In conclusione, "gli allevamenti convenzionali danno garanzie di salute e benessere animale e di sanità pubblica, messe in pratica dai dententori degli animali, gli allevatori stessi, e dalle figure professionali che vi lavorano: dagli addetti operativi ai Veterinari Aziendali e Ufficiali. Tutte figure ad elevata specializzazione, ben difficilmente riconvertibili - conclude- in una filiera alimentare senza più animali".

Infografica: Dataroom- Corriere della Sera