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CONSIGLIO DI STATO

Ordini come imprese: inviolabile il diritto antitrust

Ordini come imprese: inviolabile il diritto antitrust
Confermata dal Consiglio di Stato la mega-sanzione inflitta dall’Antitrust al Consiglio nazionale Forense. Gli Ordini sono enti pubblici ma le loro delibere sono "decisioni di imprese" e, come tali, non possono negare il diritto alla pubblicità degli iscritti nè imporre tariffe di mercato alterando le regole della concorrenza.

Non è lecito "impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza".  Il Consiglio di Stato ha detto l'ultima parola sulla sanzione da 912mila euro inflitta dall'Antitrust al Consiglio Nazionale Forense. Nel 2014, l'Autorità interveniva contro due decisioni  dell'ordine forense "volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato".

Le decisioni in questione costituivano - a detta dell'Antitrust e ora anche del Consiglio di Stato- una violazione dell'articolo 10 del Trattato Europeo, ovvero una "intesa" restrittiva della concorrenza. Con la prima decisione, il Consiglio Forense  limitava l'impiego del canale on line "Amica Card", con la seconda si reintroduceva di fatto il vincolo dei tariffari minimi.

Enti pubblici assoggettabili al diritto antitrust- La pronuncia di Palazzo Spada- depositata il 22 marzo scorso-  chiude così un contenzioso che il Tar Lazio aveva in parte lasciato aperto e dà ragione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato: gli Ordini professionali sono equiparabili ad "associazioni di imprese" alle quali è legittimo applicare il diritto antitrust anche se configurate come enti pubblici. L’Antritust è «è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato».
L'Ordine professionale, "a seconda degli ambiti in cui interviene, può svolgere “attività amministrativa”, “giurisdizionale” e “di impresa”- si legge nella sentenza.

Pubblicità on line tramite nuove modalità- Per il Consiglio Forense il circuito Amica Card realizzerebbe una pubblicità in contrasto con i requisiti di legge, in quanto «non diretta a fornire informazioni sulla struttura, specializzazione e capacità dello studio legale», essendo basata «su di un mero “sconto” di cui rimangono ignote le basi di calcolo e il tipo di prestazioni cui si fa riferimento».
Non così per il Consiglio di Stato: "Il sistema «Amica Card» è finalizzato a mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, un spazio on line nel quale questi può presentare l’attività professionale svolta e proporre uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi. La circostanza che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti  o solo agli affiliati al circuito, non è di per sé, in assenza della dimostrazione di elementi qualificanti incompatibili con la deontologia e con il decoro della professione, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiva in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazione dello sconto e dell’attività svolta. Né risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermediazione dai connotati diversi da quelli sopra esposti. In definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza".

Le tariffe minime sono anticoncorrenziali- L' evoluzione legislativa ha confermato e generalizzato per tutte le professioni il divieto di imporre tariffe minime. Al contrrario, il Consiglio Forense emanava una circolare contenente «osservazioni sulla interpretazione e applicazione» delle norme in materia di liberalizzazioni. Di più: disponeva  che «il fatto che le tariffe minime non sia più “obbligatorie” non esclude che (...) le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe». Subito dopo si aggiunge che «tuttavia nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essere il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con il codice deontologico, in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.».
Per il Consiglio di Stato, "questa circolare integra gli estremi di una intesa “per oggetto” avendo un chiarito contenuto anticoncorrenziale".

Tariffe proporzionate e libertà di farsi pubblicità on line

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