"Come è già stato fatto per la carne bovina è necessario introdurre subito anche per la carne di maiale l'obbligo di indicare la provenienza in etichetta al fine di favorire i controlli e ridurre i rischi per la salute di fronte al ripetersi di allarmi alimentari". E’ la richiesta che Coldiretti ufficializzerà mercoledì 11 luglio, a Bologna, nell’ambito della manifestazione “Giù le mani dalla qualità italiana”, sottolineando l'importanza di una etichetta trasparente anche per questo settore. Coldiretti risponde con questa iniziativa al traffico di suini dalla Spagna all'Italia senza la necessaria documentazione sanitaria e alla conclusione dell’inchiesta “Pig Europe” condotta dalla Guardia di Finanza. La scorsa settimana è stato smascherato un traffico illegale di suini infetti importati per la maggior parte della Spagna; 12 le persone arrestate in provincia di Napoli e Caserta e 550 i suini abbattuti. L’organizzazione che comprava maiali infetti in Spagna, li importava in Italia dove venivano macellati e poi le loro carni venivano vendute in diverse regioni. Quarantanove persone denunciate, tra cui veterinari, imprenditori e trasportatori. Ventuno le aziende poste sotto sequestro. Negli scaffali dei supermercati - sostiene la Coldiretti - si stima che ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l'uso di indicazioni fuorvianti come “di montagna” e “nostrano” che ingannano il consumatore sulla reale origine perché non è ancora obbligatorio per i salumi indicare in etichetta l'origine come avviene per la carne bovina e per quella di pollo. Per produrre prosciutto crudo in Italia - precisa la Coldiretti - vengono inviate alla stagionatura 12,5 milioni di cosce provenienti da maiali nazionali, mentre un numero superiore se ne importano dall'estero (19,6 milioni). L'aumento delle importazioni dagli altri paesi europei, quali Danimarca, Spagna e Olanda, che hanno raggiunto quote elevate sul mercato italiano, è causa di una pesante crisi di mercato del settore dove è a rischio il futuro dei 5300 allevamenti nazionali, ai quali vengono riconosciuti prezzi al di sotto del costo di produzione.