Meno soldi in busta paga al medico della Asl che esercita anche l'attività di libero professionista all'esterno della struttura ospedaliera. Lo sottolinea la Corte di Cassazione specificando che la decurtazione dello stipendio pari al 15% dell'indennità medica di tempo pieno deve essere applicata nei confronti dei camici bianchi che si comportano in questo modo anche quando la visita privata avviene tra le mura di casa. In questo modo la Sezione Lavoro della Suprema Corte con la sentenza 19430 ha respinto il ricorso di un medico in servizio presso una Asl di Bari con rapporto di lavoro a tempo pieno, che esercitava l'attività di libero professionista effettuando visite private nello studio di casa sua. Per la Suprema Corte, ''la ritenuta del 15% dell'indennità di tempo pieno deve essere applicata ai medici che esercitano attività libero-professionale 'extramoenia' anche nell'ipotesi in cui le aziende ospedaliere siano state inadempienti rispetto all'obbligo di predisporre le strutture necessarie allo svolgimento, all'interno dei presidi ospedalieri, dell'attività libero-professionale''. Per aver svolto attività da libero professionista in aggiunta al servizio ospedaliero, il medico si era visto decurtare dalla Asl lo stipendio dal gennaio '96 al marzo 2000. Una decurtazione illegittima ad avviso del Tribunale di Trani che, in primo grado, condannava la Asl a pagare le somme trattenute al professionista. Sentenza ribaltata dalla Corte d'Appello di Bari il 3 aprile del 2003, che sottolineava come ''la mancata ottemperanza della Asl all'obbligo previsto dall'art. 4, comma 10, del D.L.G.S. 502 del '92 di mettere a disposizione spazi adeguati e camere a pagamento per l'effettivo esercizio della professione all'interno dell'ospedale non esimeva la Asl dall'applicazione della detrazione per il personale dipendente che esercita l'attività libero-professionale all'esterno delle strutture sanitarie pubbliche''. Contro il verdetto, il medico si è opposto in Cassazione sostenendo, a sua discolpa, che era illegittima la trattenuta del 15% sullo stipendio in quanto essa dovrebbe scattare soltanto dopo che sono stati realizzati ''i presupposti per l'esercizio dell'attività 'intramoenia'''. La Suprema Corte ha bocciato il ricorso sostenendo che la legge 662 del '96 ''nel prevedere il caso di strutture del servizio sanitario nazionale nelle quali l'attività libero-professionale intramuraria non risulti organizzata e attivata alla data di entrata in vigore della legge, si limita a stabilire per i dipendenti un obbligo di comunicare l'opzione tra l'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria o extramuraria, obbligo la cui insorgenza non è automatica, ma è collegata al verificarsi di una specifica condizione''. La norma stabilisce che l'obbligo di comunicare l'opzione deve essere adempiuto entro 30 giorni dalla data in cui il direttore generale dell'Asl locale comunica alla Regione il quantitativo e la tipologia delle strutture attivate nonché il numero di operatori sanitari che possono potenzialmente operare in queste strutture''. La stessa norma, specifica ancora la Cassazione, stabilisce che la riduzione del 15% in busta paga per il medico ''si applica anche prima che si siano verificati i presupposti per far decorrere il termine per la suddetta opzione e cioè prima che (e pertanto indipendentemente dal fatto che) siano state realizzate le strutture per l'esercizio dell'attività intramuraria''. Una considerazione di questo tipo, argomenta ancora la Cassazione, prova un'ulteriore conferma nella legge 254 del 2000 ''che ha consentito ai medici, in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessità connesse allo svolgimento delle attività libero-professionali in regime ambulatoriale, limitatamente alle medesime attività e fino al 31 luglio 2003, l'utilizzazione del proprio studio professionale''.
Si tratta, si legge ancora nella sentenza, ''di una norma che innova per il futuro rispetto alla situazione precedente dettando una diversa disciplina della materia. Il fatto che sia stato necessario dettare questa nuova disciplina - spiegano ancora i Supremi giudici - costituisce un ulteriore indizio che la disciplina precedente non consentiva, neanche in una situazione di carenza di strutture idonee allo svolgimento di attività professionali intramuraria, l'esercizio di attività 'extra moenia' nei termini invocati'' dal medico. Da qui l'applicazione della ritenuta del 15% dell'indennità di tempo pieno nei confronti dei medici della Asl che esercitano anche attività libero-professionale fuori dalle mura. (Adnk/Adnkronos Salute)